RISCOPRIRE LA PASSIONE E LA MOTIVAZIONE NEL LAVORO

Ci sono giorni in cui, pur avendo concluso ogni attività, ci si accorge di non aver davvero vissuto la giornata lavorativa.
Le ore scorrono dense di compiti, riunioni e risposte, ma qualcosa resta sospeso: come se l’energia impiegata non avesse lasciato traccia dentro.

Non è svogliatezza, né mancanza di impegno.
È il sintomo più sottile della disconnessione motivazionale: quando ciò che facciamo perde il legame con ciò che sentiamo.
In queste situazioni, il vero passo avanti è imparare a ritrovare la motivazione nel lavoro, riconoscendo i segnali che ci indicano dove abbiamo perso contatto con ciò che ci muove davvero.

Quando il senso si allontana

Le ricerche più recenti in psicologia del lavoro (Deci & Ryan, Self-Determination Theory, 1985; Gagné & Deci, Frontiers in Psychology, 2020) mostrano che la motivazione fiorisce quando tre bisogni fondamentali vengono nutriti: autonomia, competenza e relazioni significative.

Quando l’ambiente professionale diventa iperstrutturato, competitivo o impersonale, questi bisogni vengono soffocati.
Molte persone oggi sperimentano una “fatica di senso”: non riescono più a collegare ciò che fanno a un valore personale.

A questo si aggiungono dinamiche organizzative note:

  • leadership orientata solo ai risultati, senza attenzione al clima umano;
  • mancanza di feedback o riconoscimento;
  • sovraccarico cognitivo e costante urgenza.

Come sottolinea Punto Sicuro (2024), la demotivazione è ormai riconosciuta come rischio psicosociale: genera stress cronico, calo della produttività e perdita di benessere personale.

Per ritrovare la motivazione nel lavoro, è essenziale comprendere che non si tratta solo di “trovare nuovi stimoli”, ma di ristabilire coerenza tra valori, obiettivi e azioni quotidiane.

 I segnali silenziosi

La perdita di motivazione raramente esplode: si insinua.
Le persone demotivate non sono necessariamente meno presenti, ma più disconnesse (Randstad Research, 2023).

Ecco alcuni segnali da riconoscere:

  • calo della curiosità e della capacità di stupirsi;
  • riduzione dell’iniziativa e della creatività;
  • sensazione di “fare tanto ma non lasciare traccia”;
  • difficoltà a provare soddisfazione, anche dopo risultati oggettivi.

Si parla di rust-out quando la spinta interiore si consuma lentamente, lasciando posto a routine e apatia.
È la sorella silenziosa del burnout: non c’è esaurimento, ma svuotamento.

Cosa ci dicono le teorie

Già Frederick Herzberg, con la sua Two-Factor Theory (1959), distingueva tra:

  • fattori igienici, che prevengono l’insoddisfazione (stipendio, condizioni, stabilità),
  • fattori motivanti, che accendono la passione (crescita, riconoscimento, significato).

Un contratto sicuro evita il malessere, ma non basta a generare entusiasmo.
La spinta nasce dal senso, dalla crescita e dal riconoscimento del proprio contributo.

Edgar H. Schein, nel modello delle “career anchors” (MIT, 1990), parla di valori e motivazioni profonde che danno direzione al percorso.
Quando il lavoro non è più coerente con la propria ancora interiore, emergono apatia e confusione.

Ritrovare la motivazione nel lavoro: un processo, non una ricetta

Ritrovare la motivazione non significa “fare di più” o “cambiare tutto”.
A volte, per ritrovare la motivazione nel lavoro, serve semplicemente rallentare, osservare e creare le condizioni perché la passione possa riemergere in modo spontaneo.

Tre direzioni possibili, confermate anche dagli studi di Frontiers in Psychology (2020) e ResearchGate (2023):

  1. Riconnettersi al senso personale
    Fermarsi a chiedersi: “Perché faccio ciò che faccio?”.
    La motivazione autentica nasce dove valori e azioni si incontrano.
  2. Coltivare autonomia e fiducia
    Piccoli spazi di scelta — anche nella gestione del tempo o del metodo — riattivano il senso di padronanza e responsabilità.
  3. Nutrire relazioni significative
    Il sostegno dei colleghi, una leadership empatica, la possibilità di confronto sincero: tutti fattori che alimentano la motivazione intrinseca.

Il contributo del coaching e della mindfulness

Nel mio lavoro di coach incontro spesso donne che si descrivono “spente”, convinte che quella scintilla iniziale sia ormai perduta.
Ma la realtà è che la passione non svanisce: si nasconde.
Resta in attesa di un contesto più coerente, di un ritmo più umano, di uno spazio dove potersi esprimere senza difendersi.

Il coaching offre proprio questo: un luogo in cui guardare con lucidità ciò che si è spento e comprenderne il messaggio.
Perché dietro la demotivazione, spesso, c’è un bisogno che chiede ascolto: autenticità, riconoscimento, o semplicemente respiro.

Come può aiutarti in coaching

Un percorso di coaching può accompagnarti a:

  • riconoscere i segnali di demotivazione e comprenderne le radici,
  • riattivare il dialogo tra valori e azioni,
  • trasformare la routine in presenza e scelta consapevole,
  • ritrovare fiducia, energia e senso nel tuo lavoro.

 

La demotivazione non è una colpa né una debolezza: è un segnale di squilibrio tra ciò che dai e ciò che ti nutre.
È la voce sommessa che invita a rallentare, a tornare a casa, a domandarsi: “Cosa sto davvero servendo con il mio lavoro?”

È proprio da qui che può iniziare un percorso per ritrovare la motivazione nel lavoro e tornare a sentire la gioia del fare con presenza e senso.

“La motivazione autentica non nasce dallo sforzo di fare di più,
ma dal coraggio di rimettere in asse la propria direzione con il proprio sentire.”

 

Riferimenti:

  • Deci, E. L., & Ryan, R. M. (1985). Intrinsic Motivation and Self-Determination in Human Behavior. Springer.
  • Gagné, M., & Deci, R. M. (2020). Self-Determination Theory and Work Motivation. Frontiers in Psychology.
  • Herzberg, F. (1959). The Motivation to Work. Wiley.
  • Schein, E. H. (1990). Career Anchors: Discovering Your Real Values. Jossey-Bass.
  • Randstad Research Report (2023). Work Motivation and Employee Well-being in Europe.
  • Punto Sicuro (2024). La demotivazione sul luogo di lavoro: rischio 

 

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